FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

Sette anni dall'attentato di Kabul

21.09.09 h. 10.45 - Basilica di San Paolo fuori le mura - Roma

Sto per partecipare alle esequie dei sei paracadutisti caduti a Kabul. Ho indossato un completo scuro (mio padre, in queste tristi circostanze, faceva così). Via Ostiense è bloccata. Ci sono i vigili che deviano il traffico. Macchine blu parcheggiate in ogni ordine di posto. (bah, si saranno portati escort e veline).

La Basilica di San Paolo è già colma. Fuori di essa, una folla numerosa, di ogni età, sesso e condizione, indugia nei giardini circostanti. S’accalca sulle transenne. Un albero, un salice, dall’umore identico al mio, mi ospita mimetizzandomi. Posizione adatta. “Videre nec videri”. Sento la necessità di nascondere rabbia e commozione. Per precauzione ho indossato un paio di occhiali scuri per rispetto, per pudore. Per nascondere le lagrime. Tentativo inutile.
Tanta gente “armata” di tricolore e sane emozioni. Molta gente attrezzata di sentimenti malconci. Altra, troppa, vogliosa di visibilità.
Qua e là, a gruppi più o meno folti, si evidenziano tantissimi baschi amaranto. Qualche cartello, qualche striscione, offrono i sentimenti della gente romana, e non solo.
I picchetti d’onore sono schierati. Sguardi vigili, dignitosi. Lagrime pure, solcano gote dure.
Il cielo è grigio, di tanto in tanto qualche goccia di pioggia si libera dalle nubi. Si concede alla tristezza.
Telecamere, microfoni, i predatori delle passioni, i prezzolati delle verità, si sguinzagliano tra la folla a carpire, sollecitando, emozioni. Altre ne sottraggono. Altre ne ispirano. Alimentano quanto, tra un paio d’ore, sarà consegnato all’oblio.
Un brandello di sole, per qualche attimo, insorge. Le nubi lo circondano. Infine lo censurano.
Tutto intorno il silenzio è spezzato da parole senza senso, da frasi fuori luogo, da qualche sorriso di troppo. Da atteggiamenti disinvolti. Tuttavia è paradossale essere confortati nel ravvisare in numerosi animi, dolore e compostezza. Il silenzioso decoro che onora i funerali.
La Messa si protrae, nell’attesa divoro cinque o sei sigarette. Le mascelle sempre serrate. Le gambe leggermente divaricate, le braccia dietro la schiena. La mano destra stringe la sinistra che racchiude il pollice nel palmo. Nel “Riposo”, cerco la pace che non c’è.
Dall’ingresso dell’abbazia un brusio. L’intenso raccoglimento si scuote . Il silenzio s’è interrotto con brusca discrezione. Stanno per uscire. Li portano a spalla. Avvolti nel tricolore. Applausi. Applausi scroscianti (porca puttana). Poi, appena sotto la scalinata, ad ogni passaggio delle bare, sei “Via!”: “parà! Folgore!” si ripetono per sei volte, si scagliano con doloroso furore verso il cielo. Sono sei proclami, sei avvertimenti, sei giuramenti. Sessanta oneri. Da onorare.
I picchetti d’onore presentano le armi ed il “Folgore” del drappello del 186°, che percuote tutta l’area, assume un timbro speciale. E’ l’ulteriore giuramento.
La marcia funebre della banda militare accompagna i nostri caduti. Nella mia mente Buzzatti, per “Gesso 4” (…Ora se ne vanno. Guardateli se ci riuscite…). Lagrime, altri applausi, collera (…non singhiozzano, non disperano, non maledicono…), dolore (…spalla a spalla si allontanano, pallidi si, ma senza un tremito, con quel passo lieve e fermissimo…). Un ultimo, solitario, ostinato (…che un tempo, si diceva, appartenesse ai guerrieri e agli eroi…) “Folgore!”

Osservo il contegno dei “loro” familiari. Ad essi vorrei consegnarmi. Per stringerli tutti. Con l’affetto ed il rispetto che meritano. Per il dolore che sopportano.

Tre scuole superiori, credo licei, di Roma, non hanno aderito al minuto di raccoglimento.
Siti internet dove si esulta per la morte dei “miei” commilitoni. Vittime di questo stato. Martiri per questo “Stato”. Figli nostri.
Scritte infamanti a Livorno e a Milano.
Un prete di Lecco “li” definisce mercenari. “Mercenari” che, lontani dalle loro famiglie, hanno offerto, gratuitamente, la vita perchè “quel prete” potesse sostenere, dal pulpito di casa sua, l’alibi, o l’ipotesi, della sua vocazione.

Questo popolo, domato, ha smarrito il senso dell’Essere. Del dovere. Della volontà.
Convive, condivide, e si nutre, con l’esatto il contrario. Il silenzio morale.
La loro sconfitta.

Confesso che, per la prima volta, non ho pregato ad “un” funerale. Confesso che, per la prima volta, non mi sono segnato con la Croce, come da generoso insegnamento materno.

L’unica “preghiera”, scandita ad ogni stretta di mascella, cosi rimbomba nei battiti del cuore:

…“Ci avevano detto, quando lasciammo il suolo natale, che andavamo a difendere i diritti sacri che ci conferiscono tanti cittadini sistematisi laggiù. Tanti anni di presenza. Tanti benefici portati a popolazioni bisognose del nostro aiuto e della nostra civiltà. Abbiamo potuto verificare che tutto ciò era vero, e poiché era vero, non abbiamo esitato a versare il nostro sangue a sacrificare la nostra giovinezza e le nostre speranze. Non abbiamo rimpianti, ma mentre qui ci anima questo spirito, mi dicono che a Roma si succedono cabale e complotti, che il tradimento fiorisce e che molti, esitanti, turbati, prestano un orecchio compiacente alle peggiori tentazioni e vilipendono la nostra azione. Non posso credere che tutto ciò sia vero e tuttavia guerre recenti hanno mostrato a qual punto poteva, un tale stato d’animo, essere pernicioso e sin dove poteva condurre. Rassicurami al più presto, te ne prego, e dimmi che i nostri concittadini ci comprendono, ci sostengono, ci proteggono come noi proteggiamo la grandezza dell’impero. Se le cose dovessero stare altrimenti, se dovessimo lasciare inutilmente le nostra ossa calcinate lungo le piste del deserto, stiano allora attenti alla collera delle Legioni.”

“Marcus Flavinius
Centurione della II Coorte della Legione Augusta
Al cugino Tertullus in Roma…”

Folgore Comandante!

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