L'amicizia non deve essere intesa quale sentimento, ma come relazione complessa che si stabilisce fra un io e un tu. Nelle forme più primordiali, essa nasce sulle basi di un mero interesse materiale delle parti, ma la forma più nobile e più vera dell'amicizia (da qui in poi indicata semplicemente Amicizia, con la lettera maiuscola) è rappresentata dal rapporto che si stabilisce tra “buoni “.
Tra i buoni, ciò che viene vicendevolmente scambiato è il bene e questo mette in moto un circuito virtuoso, grazie al quale questa Amicizia renderà i contraenti sempre migliori, non solo nei loro rapporti reciproci, ma anche dentro se stessi. “Sed hoc primum sentio nisi in bonis amicitiam esse non posse“ (”In primo luogo penso che l'amicizia non possa sussistere se non tra buoni”), questa l’opinione espressa da Cicerone nel Laelius de amicitia, di cui fornisce di seguito mirabile spiegazione“ Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque rerum cum benevolentia et caritate consensio “ (“L'amicizia non è niente altro che l'armonia delle cose umane e divine, accompagnata dalla benevolenza e dalla carità”).
L'amicizia non è, dunque, solo una relazione fra due soggetti, ma ne richiama un terzo, che può essere individuato semplicemente nella verità: la verità di quell'io e di quel tu e che rappresenta il suggello trascendente del loro incontro. Da questa prospettiva, appare chiaro che non può esser data Amicizia tra due persone che si trovino su livelli di evoluzione spirituale troppo differenti. Nel rapporto tra maestro e discepolo, ad esempio, vi può essere affetto, ma non autentica amicizia perché l'Amicizia è una relazione fra pari. E ancora, l'Amicizia può comprendere l'amore, ma l'amore non comprende l'amicizia.
Infatti, tra i due, è l'Amicizia la relazione più autentica e disinteressata, più nobile, dunque quella che sta più in alto e, come tale , può contenere ciò che sta più in basso, ma non è possibile il contrario. Tutto ciò confligge con il sentire comune per il quale l'amore è un sentimento più completo dell'amicizia, proprio perché si pensa ad entrambi come sentimenti e non come relazioni.
In realtà, una relazione esprime sempre anche un sentimento (non solo per le persone, ma anche per le cose o per delle entità astratte: l'affetto per la propria casa, l'amore per la giustizia, ecc.); ma un sentimento può non esprimere alcuna relazione. Infatti l'amore, in quanto sentimento, può anche non venire ricambiato, essere perciò a senso unico, mentre per configurarsi quale relazione, deve prevedere uno scambio. L'Amicizia invece non può che essere reciproca, perciò non può essere che una relazione: non esistono amicizie non ricambiate, al massimo vi sono simpatie non ricambiate.
Così intesa, l'Amicizia - va da sé - è una merce estremamente rara, preziosa, da preservare.
Tradire chi si fida di noi, ammonisce Dante, è molto più grave che tradire colui che sta sull'avviso e per questo il divino poeta precipita i traditori degli amici, dei parenti e dei benefattori nei gironi più profondi del suo inferno.
L’attuale opinione riduttiva della amicizia fa sì che il suo tradimento non desti particolare sdegno se non, ovviamente, quando non se ne faccia personale esperienza. I sociologi, poi, contribuiscono a confortare tale linea di pensiero, sostenendo la tesi che l'amicizia non è nulla più che una tappa della maturazione psicologica dell'individuo, espressione peculiare dell'adolescenza o della pre-adolescenza, semplice conferma che lo sviluppo affettivo procede in maniera “normale”.
In realtà, se vista come una relazione normale, l'Amicizia perde evidentemente la sua eccezionalità e con essa la sua essenza. Se per normale si intende qualcosa che occorre frequentemente, allora l'Amicizia è una relazione decisamente "anormale". Nell'Amicizia, si prova per l'amico una tensione di affetto tale da far sentire "normale" l'eventualità più contraria al principale istinto dell'uomo, quello della conservazione. L'amico considera non solo normale offrire la vita per l’amico ma, qualora tale eventualità si dovesse presentare, l’affronta con gioia.
La Amicizia si configura e si posiziona in una dimensione ai confini della sacralità e vive in collocazioni temporali e spaziali divine, come in un tempio. Consegnare, ad esempio, un segreto ad un amico significa porlo in una custodia consacrata, dalla quale sarebbe sacrilego estrarlo per propalarlo ad estranei.
Ciascuno di noi ha la tendenza a proteggersi, nell'avventura della vita, con modalità difensive più o meno articolate, che appaiono assai ben strutturate in coloro che hanno già avuto modo di soffrire, a meno che le esperienze vissute non abbiano insegnato che solo il coraggio di esporsi può salvaguardarci dalle ferite profonde.
Nella relazione dell'Amicizia le difese vengono progressivamente abbassate, fino ad essere annullate e ciò avviene in genere dopo un periodo iniziale di esitazione, di timore, di diffidenza nella consapevolezza che aprirsi all'altro significa divenire vulnerabili . La ricerca della Amicizia richiede però di correre questo rischio: un vero e proprio training propedeutico, “ conditio sine qua non “ per il suo raggiungimento.
Ingannare l'Amicizia significa ingannare quel terzo sovrumano, presente nella relazione, significa violare la parte più vera di se stessi. Tradendo l'amico, si smarrisce il proprio io, la propria anima, il proprio onore e ci si espone al giudizio e alla condanna del più severo dei giudici: la propria coscienza. Quest’ultima si può anche tentare di zittirla o chiederle di mentire a se stessa, tacitando scrupoli e rimorsi. Potremmo anche momentaneamente acquetarla mistificando le proprie responsabilità. Ma sarà tutto inutile, i primi a soffrire di quest’infamia che marchia nel profondo il nostro io, saremo proprio noi stessi, che in un angolo ancora limpido, se pur ridotto al minimo, della nostra anima, non riusciremo mai a perdonarci e non riusciremo mai a cancellare la infamia di quanto accaduto.
I traditori della Amicizia vivono infatti uno stato di silenziosa disperazione e simulano una pace interiore che hanno perduta per sempre, pur avendo fatto di tutto per rimuovere quella colpa, elaborando infinite giustificazioni, sperimentando rocamboleschi e improbabili procedimenti di autoassoluzione. Combattono una battaglia persa: barare con la propria coscienza. Tradendo l'Amicizia, hanno ucciso la parte migliore di se stessi: non possono autoassolversi e la loro viltà non permette loro di chiedere perdono. Sono condannati ad una punizione che non ha fine e che non redime, perché non prevede espiazione.
Perché espiare, vuol dire riconoscere il male commesso e assumersene la responsabilità, lealmente e coraggiosamente. Ma il traditore, sleale anche con se stesso e vile con gli altri, non considera tale soluzione e preferisce fare finta di niente, tirare avanti, vivacchiando e accampando, giorno dopo giorno, scuse diverse.
Molte sono le persone che vivono così prigioniere della propria cattiva coscienza e non è il caso di stupirsene. Nell'Amicizia, ciascuno mette in gioco quanto di più prezioso possiede. Chi tradisce l'Amicizia, distrugge anche la stima di se stesso.
Come fondatamente sentenzia Nietzsche, si può sempre perdonare il tradimento che l'amico ha fatto a nostro danno, ma è impossibile perdonargli il tradimento che ha fatto a se stesso.