La realtà emersa dalle recenti elezioni, configura una preoccupante situazione di impasse, di ingovernabilità, di frantumazione sociale e politica che aggrava il senso di disorientamento e di incertezza, la sfiducia nelle istituzioni, la paralizzante paura del domani, già largamente diffusi tra i cittadini italiani prima della chiamata alle urne. Si era parlato di elezioni che avrebbero cambiato il futuro, senza pensare che già la campagna elettorale era stata impostata sugli schemi logori della contrapposizione in un ottica politica ormai superata, niente di innovativo dunque ci si poteva aspettare su quel fronte.
Le forze nuove che sono emerse dal voto, d’altronde, se da un lato rappresentano il segno del generale malessere e di una decisa volontà di rottura con il passato, sembrano, al momento, sul piano attuativo, esprimere solo una generica spinta rivoluzionaria, demolitrice, priva di istanze propositive e costruttive.
Nell’intenzione di contribuire a delineare un percorso di cambiamento che consenta all’ Italia di uscire da una situazione di stallo, facendo seguito a quanto già esposto nell’articolo Stato Sociale, si presenta ora una prospettiva di riassetto che potrebbe fornire spunti per un ripensamento ragionato, di fondo, dell’attuale sistema politico economico e sociale.
Sono stati indicati in precedenza quelli che possono essere ritenuti i principali difetti dell’attuale sistema di politica socio-economica, causa principale delle ricorrenti crisi dell’apparato economico. Con ciò si pone il problema della ricerca di un tipo di soluzione alternativa, non fumosa, ma realistica, necessariamente innovativa a tale crisi istituzionale. Tale ricerca deve essere orientata sia nella direzione di una valorizzazione dell’istituto della rappresentanza delle volontà, degli interessi e delle competenze, sia, più propriamente, nell’affermazione del concetto di partecipazione.
Va preso atto che il funzionamento del sistema partitocratico è inceppato e che il meccanismo costituzionale è da considerare, quanto meno, vecchio e comunque incapace di produrre quella necessaria sintesi tra paese reale e paese legale che costituisce un motore di Storia. La società industriale ha ulteriormente accelerato quella dinamica civile e sociale che ha pur sempre caratterizzato il vivere umano. I rapporti tra persone e gruppi si trasformano, nell’attuale società, incessantemente e ogni cosa, giorno dopo giorno, è rimessa in discussione. L’idea illuministica ed astratta della verità relativa non trova più spazio nella coscienza collettiva moderna. Le strutture post-liberali hanno fatto il loro tempo così come quelle marxiste e neo-marxiste. Tutto ciò che, sul piano politico, economico ed istituzionale, discende da quella cultura deve essere messo in discussione. Il superamento delle cose è nella Storia, nella coscienza e consapevolezza che i reciproci rapporti di forza, di conoscenza, di mutualità tra persone e gruppi sono soggette alla esigenza di continui mutamenti.
Il popolo è costituito dall’insieme di individui o di gruppi , secondo una concezione dinamica e non statica: il popolo non è, come vuole la concezione puramente rappresentativa del potere, ma diviene. Ne deriva che non si può pensare di “inscatolare” in una forma di governo, rigidamente definita, alla quale la realtà deve adattarsi, e non viceversa rendere flessibile il sistema del governo, per adeguarlo ad una realtà in costante trasformazione e sviluppo. Questo il malinteso nel quale sono incorsi tutti quanti hanno ritenuto, in ogni epoca, di individuare, quale modello statuale perfetto, un ordinamento rigido, acritico, sordo alla trasformazione delle caratteristiche etiche, sociali, culturali, politiche, economiche, etniche, religiose di un popolo.
La crisi dello Stato ha origini lontane; non esiste e non è esistito Stato che non abbia conosciuto crisi. La crisi è continua perché le società si modificano incessantemente e sempre più rapidamente, ma le istituzioni non si trasformano con esse. Quando la crisi supera un determinato punto di rottura, si passa da un tipo di Stato ad un altro. La crisi nel nostro Paese ha raggiunto questo nodo critico. Non può essere ignorata la profonda crisi di partecipazione degli istituti della democrazia rappresentativa in ordine agli sviluppi socio-politici e socio-economici del fenomeno industriale. Non si può continuare a ritenere che il cittadino partecipi alla politica solo con l’esercizio del diritto del voto, delegando “ gli eletti” ad esercitare in suo nome il potere. Il problema della partecipazione non può essere ridotto in termini di un si o un no espresso una volta ogni tanto.
La crisi degli stati democratici è mossa, inoltre, dai contrasti fra il potere costituito (legale) e gli altri poteri che si manifestano per le strade, nelle officine e nei gruppi delle più diverse categorie che cercano di far prevalere le proprie esigenze con ogni mezzo senza tenere in alcun conto o, comunque ignorando, le esigenze generali, comuni del funzionamento delle istituzioni. Un’offensiva disordinata di procedimenti e rivendicazioni attraverso i quali si cerca di far prevalere interessi settoriali o di gruppi e che condizionano il declino della fiducia nella rappresentatività costituzionale. Una crisi del sistema rappresentativo, inadeguato ai nuovi compiti attribuiti alle istituzioni dello Stato, investito dalla nuova organizzazione della vita sociale, figlia dello sviluppo della società.
I giudizi negativi sullo Stato, da quelli immediati, istintivi della reazione popolare sino alle analisi critiche degli addetti ai lavori, sono generali. Lo Stato tende a funzionare sempre peggio e la diffidenza nei suoi riguardi cresce esponenzialmente.
Il problema che ha assunto dimensioni storiche, merita di essere affrontato per la ricerca di efficaci soluzioni. Ciò può avvenire secondo procedure e metodologie riformiste e conservatrici , nello spirito e nella logica del sistema attuale, oppure attraverso un salto rivoluzionario, un atto di rottura che imponga principi di diritto innovativi, propri ed originanti.
Il costante dilatarsi delle condizioni di vita, la continua crescita della dimensione societaria, il ritmo vorticoso imposto alla comune esistenza, ai problemi, alle aspirazioni, alle competenze chiama con forza ad un’unità di azione e d’intenti poiché ogni cosa è intimamente correlata con le altre cose, ogni fattore con altri fattori, ogni azione con altre azioni. La realtà umana, civile, sociale è, viceversa, mantenuta estranea da qualunque possibilità di partecipare secondo moderni criteri di efficienza.
I partiti del sistema, da strumenti di lotta politica o di governo, sono diventati strumenti di potere, di gestione burocratica e clientelare della cosa pubblica secondo criteri e regole reazionari di ideologie superate dai tempi e dalle cose. I partiti, fuori del sistema, sono anch’essi incapaci di movimento, d’interpretazione di una realtà dinamica e restano fuori dai nuovi problemi, dalla ricerca dei nuovi equilibri ugualmente prigionieri degli schematismi propri di quella organizzazione utilitaristica, autoreferente ed irresponsabile che è il partito politico. In tal modo, questi partiti, lungi dal rappresentare strumenti di rappresentatività e partecipazione, costituiscono orpelli, diaframmi impenetrabili tra la base e il vertice della piramide statuale, occupando lo spazio che sarebbe proprio dei corpi intermedi. Di quei corpi sociali che costituiscono il tessuto connettivo della società: aggregazioni sociali, economiche, culturali che si sono create secondo le funzioni, le competenze, le prospettive, le attività degli uomini. Corpi sociali che rendono l’uomo reale e concreto collocandolo in una realtà effettiva (socius di altri uomini), sottraendolo a quella condizione di entità astratta (uti singulus), di fantoccio svilito dalla massificazione indiscriminata e dall’egualitarismo generico della partitocrazia. Scriveva in merito Gentile nel suo Genesi e struttura della Società: “L’uomo reale, che conta, è l’uomo che lavora e secondo il suo lavoro vale quello che vale”. Uomo-Lavoratore, dunque, ma non nel senso di un neo-operaismo umanistico ma nel senso di lavoro inteso come creazione, creazione come intelligenza, fantasia, competenza, esperienza: affermazione del migliore, del meglio degli uomini, cioè della persona umana. L’individuo la cui situazione è espressione della competenza, della funzione è l’uomo individuabile e individuato a prescindere e ben al di là degli schemi della rappresentanza partitocratica. E’ l’uomo non incasellato ed irreggimentato a forza in settori chiusi ma congiunto in associazioni dinamiche ed unificanti le esperienze, le volontà e le esigenze settoriali con quelle della comunità e dello Stato.
Si è detto come la ricerca di soluzioni alternative all’attuale assetto statuale possa percorrere, essenzialmente, due vie : quella conservatrice e quella francamente innovativa.
Nello scorcio degli ultimi due/tre decenni il sistema, nelle sue varie componenti, ha avanzato e, in taluni casi, applicato proposte riformistiche. Elezioni primarie, nell’ambito dei congressi dei partiti, con designazione diretta dei candidati da parte degli iscritti al partito. Elezione dei Consiglieri Nazionali dei partiti da parte del corpo elettorale con un atto unico, mediante un’unica scheda (quella per la elezione dei deputati e senatori), ove si voglia stabilire quali degli eletti siano anche Consiglieri Nazionali. Stimolare la partecipazione diretta dei cittadini alla vita dei partiti politici o indiretta attraverso la adesione ad associazioni, gruppi culturali e socio-economici. Sorgono, spontanei ed immediati, critiche e dubbi sulla efficacia di tali correttivi e sulle reali intenzioni e ,comunque, possibilità di questi di deviare dal sistema in essere, verso concreti obiettivi di reale apertura a rappresentatività e partecipazione allo stato di quei corpi sociali ignorati e mantenuti estranei al governo del Paese. E’ credibile che il voto espresso dai cittadini sulla lista dei membri dei Consigli Nazionali – predisposta dai congressi dei partito - favorirebbe davvero, in qualche misura, una partecipazione attiva dei cittadini? O non rappresenterebbe piuttosto un modo diverso per far ratificare scelte operate dagli Stati Maggiori dei partiti? E quale reale, spontanea, indipendente partecipazione ad elezioni primarie può essere garantita da un sistema di gestione e controllo dei partiti che si fonda sull’acquisto e controllo delle tessere da parte dei soliti notabili che, in alcuni casi, si trasmettono di padre in figlio tale diritto?
Non è certamente ritoccando qua e là i meccanismi obsoleti e arrugginiti della partitocrazia che si può pensare di salvare, realizzare e garantire il principio della partecipazione degli individui, dei gruppi, delle categorie alla vita pubblica. Non è con scadenti maquillage, prestidigitazioni e alchimie che si persegue e si raggiunge l’obiettivo di trasformare lo Stato ed adeguarlo alle esigenze dei tempi. Non si tratta più di correggere o migliorare, ma di passare ad un’altra concezione, ad un’altra visione della realtà dello Stato e della sua funzione. Tutte le proposte suggerite dall’attuale sistema tendono ad istituzionalizzare i partiti mantenendo ad essi il significato di strumento di unione, elemento catalizzatore fra i gruppi sociali e lo Stato. In quest’ottica ai gruppi sociali continua ad essere attribuito un ruolo secondario, in subordine a quello dominante dei partiti: la partitocrazia istituzionalizzata. Servono, viceversa, senza mezzi termini, proposte innovative, organiche indirizzate a risolvere il sempre più urgente problema della immissione dei corpi sociali a livello istituzionale, nello Stato, con partecipazione diretta all’elaborazione delle decisioni pubbliche.
Ma ancora tutto “ l’arco costituzionale” è saldo e compatto nella difesa del partito che non viene messo in alcun modo in discussione. Così come, neanche in linea d’ipotesi, si pensa che la rappresentanza possa attuarsi per il tramite di strumenti diversi che non siano il partito politico. Il quale, per quanto lo si voglia aggiornare, ritoccare, rivedere e riammodernare, è e resta il partito politico, strumento, espressione di un mondo e di una cultura superati dal tempo.
Il partito raccoglie e mescola, in modo indiscriminato uomini con diversi percorsi di vita e di cultura prescindendo da qualsiasi tipo e grado di competenza. Ne deriva che ogni decisione sarà presa in funzione del numero con la conseguenza che la voce dei migliori verrà soffocata dalla quantità. Le qualità del popolo vengono confuse, appiattite, manipolate e dominate da minoranze i politiche che, in tal modo, trasformano la democrazia in demagogia.
E’ logico: rappresentanze così determinate non possono generare alcuna forma di partecipazione, anche se da parte di taluni è stato affermato che “ove vi sia partecipazione è certamente rappresentanza, mentre non sempre è vero il contrario” (G.Gerin 1964. Nuovi aspetti della partecipazione politica nell’attuale società. ) Ma così non è! C’è partecipazione laddove c’è vera rappresentanza e c’è rappresentanza laddove c’è vera partecipazione. I due termini, se intesi nel loro significato autentico, sono legati da un’interdipendenza dialettica tanto stretta da farli identificare.
Il sistema partitocratico, incapace (o disinteressato?) ad esprimere effettive rappresentanze, non determina alcuna forma di partecipazione. E vani devono essere considerati i tentativi di rabberciare una rappresentanza, superata dalla Storia, e inventare su questa il principio della partecipazione.
Le competenze e le categorie debbono essere immesse nello Stato e gli uomini vanno colti nei luoghi di lavoro, di ricerca, di studio, di creazione. Ciò che deve essere portato in alto, sulla vetta della piramide dello Stato, è l’uomo reale, concreto, effettivo e non quell’entità astratta alla quale ha sempre fatto riferimento, servendosene, certa retorica politica di maniera.
Man mano che il partito politico rivela la sua vacuità, i suoi limiti, la sua arbitrarietà, il tessuto societario si sfilaccia, si decompone, perché viene meno la motivazione, la sintesi globale che può scaturire solo dallo Stato che è l’unico, possibile volere comune ed universale di una Nazione.
Va preso atto che il partito non è rappresentativo né concorre a rappresentare alcunché. La soluzione non è nel ricercare l’espediente per migliorare funzionalmente una rappresentanza che non c’è e che non è per questa via possibile, ma sta nell’individuazione di un diverso strumento sociale in grado di realizzare la sintesi rappresentanza e partecipazione.
Il problema ha dimensioni storiche e la soluzione deve essere ricercata attraverso istituti di portata storica.
Sono in crisi le ideologie e sono in crisi i sistemi che ne discendono.
Le ideologie non sono più distinte le une dalle altre con nitida evidenza. S’integrano, si avvicinano, si accavallano, sino a diventare materia informe ed incolore, una sorta di contenitore buono per tutti, dove tutti possono trovare una parte di sé e lo stemperamento dell’ortodossia e della coerenza di tutti.
I sistemi sono quelli che sono: apparati inerti, inespressivi, ottusi quando non fraudolenti. Per forza d’inerzia ma più spesso per coltivare interessi privati, non confessabili sopravvivono a se stessi nella speranza che nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi istituti non sopravvengano. Siamo al punto che la fonte principale dalla quale scaturiscono il diritto, la stabilità, il progresso non è più unica, lo Stato. E’ in atto il disfacimento dello Stato partitocratico. Occorre una diversa, nuova fonte d’autorità, di progresso e di stabilità. Essa non può scaturire che da uno Stato etico e socialmente programmato, un ordinamento verso il quale, che lo vogliano o no i poteri forti e occulti e le scorie della partitocrazia, la Nazione Italia deve andare. Solo allora, quando avremo questo nuovo Stato, potrà essere ripreso il cammino.