Ardenza Terra (LI), 20.03.74
La mattina è uggiosa. Una pioggerella fitta e pigra, alimentata da nubi grigie e tristi, scende muta e insistente. Gocce piagnucolose si adagiano sul suolo e sui tetti del nostro spartano ateneo. Qua e là qualche timida pozzanghera. Gli ombrelli, oggetti incomprensibili, misteriosi e superflui, qui non sono ammessi. Folate di vento, lente e prolungate, si alternano con una calma esitante. Un “CL” procede lentamente ma non può non provocare impertinenti e dispettosi spruzzi d’acqua.
Si ferma davanti al refettorio. La pompa di benzina l’aspetta. Nel “Piazzale”, il Monumento ai “Ragazzi di el Alamein” scruta impassibile e solenne l’orizzonte: alimenta certezze, nutre speranze.
I pini perimetrali, testimoni pazienti e loquaci, scuotono vivacemente le loro chiome disperdendo nell’aree sottostanti aghi esili e malinconici che sembrano lagrime: hanno assistito al congedo del 1° ’73 (i ragazzi del ’53 si sono ben comportati, in ogni occasione. Se necessario, sforzate la memoria e rammentate. Per non dimenticare), ora aspettano i frutti acerbi del vivaio della “Scuola”. Essi ascoltano, raccontano, raccolgono e custodiscono, gelosamente, le storie del “1° Rgt. Par.”.
L’aria è fredda. Un freddo strano, non pungente, ma singolarmente accattivante, si fa breccia nell’anima conquistandola con calore (Scoprirò nel tempo e senza meravigliarmi, in questa intensa e sottile sensazione, una fraterna nostalgia, una solida amicizia, una impudica fedeltà).
Rabbrividisco, ma credo non dipenda dalla temperatura ostile, mentre esco per la penultima volta dall’ ingresso della “14a”. La “diagonale” è perfettamente in ordine. Il “basco” è reclinato come la “latitudine” pretende e la tradizione impone. Mi dirigo, con il passo che ci distingue (la tristezza va combattuta anche cosi), verso la Porta Centrale dove ad attendermi c’è l’”AR” di servizio che mi accompagnerà a “M.N.” dove il Comandante è con il “V” in esercitazione. “Siamo”… sono stati “attaccati” dal nemico, dovranno difendersi (spesso siamo stati costretti a difenderci anche dagli “amici”). E’ la mia ultima missione: mi sono offerto volontario per portare la prima colazione al Comandante, il ten. col. Par. Mario CHIABRERA. E’ un “volgare” pretesto per salutarlo, prima non l’ho potuto fare. Il col. Cristofari ed il magg. Mancino,ai quali mi sono rivolto, hanno accettato di buon grado la mia proposta.
Giungiamo sul posto mentre Giove Pluvio esterna tutta la sua disapprovazione.
Da una tenda sento il gracidare di una radio, fa il punto della situazione: ci sono state delle perdite, ora stiamo contrattaccando.
Sono davanti la tenda del Comandante. Entro , saluto: ”buongiorno Sig. Colonnello!”. Nella mano sinistra stringo la tazza di latte e caffè che fumante ha debordato e mi sta “ ustionando”. Fingo noncuranza, ma credo che la mia disinvoltura risulti solo tenacemente approssimativa. Mi fissa con quello sguardo pieno di ironia e, dissimulando abilmente la sorpresa, illuminandosi recita:
“ e tu cosa ci fai qui?!” -. La sua voce, leggermente roca, vibra di calore e di affetto…
…Quella stessa voce che ogni tanto, fino a poco tempo fa, sentivo alle
h. 07.30 mentre rispondevo “pronto” dal telefono di casa mia e dall’altra parte del “filo” uno - “sveglia giù dalle brande!!!”- e una sonora risata, poi, perché sapeva, fingeva di accertarsi -“ti ho svegliato?”- , ed io, felice di quel privilegio, affrontavo la giornata con animo leggero. Me ne ha date di sveglie il Comandante, me ne ha regalate di giornate leggere ”Zio” Mario.
Quella stessa voce che in una calda serata di luglio di tre anni fa, analizzava con millimetrica precisione, e disarmante lucidità, gli obblighi e i divieti dell’età avanzante e impietosamente denunciava, come volesse esorcizzarli, gli acciacchi che avevano cominciato a minarlo e, accantonando nel piatto una foglia di insalata con la quale non voleva condividere l’ultima parte della cena, m’ammoniva - “smetti di fumare!”- .
Quella voce, istrionica e calda, che si auto invitava facendo felice la mia famiglia e me.
Quella voce che mi “condannava”, suo malgrado, a tre gg. di “CPR” per un maldestro “mancato rientro” (avevo aderito con entusiasmo a quelle proposte che i vent’anni non possono non accettare), e lui, conosciuto l’episodio, sornione infieriva - “quella punizione, una macchia d’inchiostro su una pagina bianca!” - poi, con fare allegramente inquisitorio punzecchiava - “Mi auguro ne sia valsa la pena. Lo sai, oltre al danno anche la beffa…” - . Mi limitavo ad assentire tacendo, per non dire la verità. Posso, solo oggi, ammettere che non era certo la Fenech. Credo lo sapesse già.
Quella voce, spontaneamente graffiante, che demoliva esaltando lapalissiane realtà … - ”…dal momento in cui sto rispondendo dal telefono di casa mia (evidentemente dall’ “altra” parte, un “sei tornato?”), non vedo come potrei negare la mia preziosa presenza…”- …
Quella voce trasgressiva, puntuale, mai approssimativa, sarcastica, appassionata, autorevole, ma quando necessario autoritaria, che ci esortava ad intonare “tutti al mare a mostrar le chiappe chiare” e noi, guerrieri sbigottiti, prima timidamente poi a squarciagola davamo fiato alle ugole steccando vergognosamente, ma era troppo tardi quando ci eravamo resi conto che avrebbe potuto chiederci qualunque cosa.
Quella voce, un po’ rotta dalla solitudine, dalla stanchezza e dalla inquietudine, che per la tradizionale “Festa” mi chiedeva (un ordine cordiale il suo, una richiesta affettuosa) di accompagnarlo a Livorno. Un sostegno reciproco dal quale non potevo esimermi, né volevo sottrarmi. Il viaggio di andata, la permanenza ed il ritorno indimenticabili: Onore, Privilegio, Piacere…
… -“Sono venuto a salutare il mio Comandante” -. Ho posato la tazza. Ho dimenticato l’”ustione”. Cerco di controllare l’emozione. Cerco di non manifestare la mia semplicità. Non deve vedermi addolorato. Ma sa che lo sono. Ora sono sull’ ”attenti”, rigido, impettito, fiero. L’indice della mia mano destra sfiora leggermente il basco. Per non disperdere inutilmente “quel” patrimonio, riesce ad esorcizzare tutte le atmosfere - “riposo, sciagurato”- .Un attimo di pausa ed aggiunge - “ ma che cazzo te ne frega del “tuo” comandante!!! ”- è compiaciuto e dispiaciuto e la parolaccia credo l’abbia messa lì non per uso esclusivo del caso, ma per sottrarmi dall’anonimato e farsi ricordare. Il mio cuore ha sempre palpitato nel mondo concreto dei sogni suggerendo, con puntuale banalità, le risposte più futili e scellerate, e anche in quella occasione non mi ha tradito - “ Se mi fregava qualcosa del mio Comandante, sarei andato a salutarlo, Sig. Colonnello!”.
Temo fosse l’unica ragione per cui fingeva di non stimarmi…
Tante cose ha tentato di insegnarmi il Comandante. Poche cose, sfortunatamente, ho capito. Ricordo, quando turbato e deluso da attacchi anonimi e menzogne gratuite, si ostinava orgogliosamente a non apparire indifeso e ferito. Nascondeva la sua amarezza, la sua impotenza, la sua collera per non potersi difendersi come egli, per vocazione e per retaggio preferiva: a viso aperto.
Diverse volte mi ha incoraggiato… - “ dammi del tu” - , e io…- “non posso, Comandante…” - chinavo un po’ il capo nascondendo un lieve rossore.
Oggi, cedendo alle lusinghe della retorica e abusando della stessa, e me ne scuso, gli direi semplicemente - ”Mi manchi tanto “Zio” Mario. Avrei voluto aiutarti come meritavi. Non so come. E non so quanto. A troppe domande non so dare risposta e tante risposte sono troppo scontate. Mi hai privato del tuo coraggio, della tua dignità, del tuo esempio, della tua umanità”- .
Arrivederci grande e libero cuore, eversore e custode del più scanzonato pudore.
In me, ancora oggi, affetto, rispetto, orgoglio.
Grazie, “Zio” Mario.
FOLGORE COMANDANTE!
C.M. Par. Severo Plinio Quirino ROMOLO
1° Rgt. Par.
V Btg. 14a Cp. Pl. A.T.T.
Casal Bernocchi – Roma, dicembre 2001