FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

Le nostre donne

“Le donne non ci vogliono più bene…….” recitava una canzone, di anonimo, in voga oltre mezzo secolo fa. In quei versi era contenuta tutta la amarezza e la ribellione di giovani che, sulla scia del movimento futurista, animati da un fermento di rinnovamento,  puntavano ad un rimodellamento sociale con posizioni che, seppure ideologicamente confuse e  spontaneiste, esitarono in linee di azione nette e conseguenti: Insurgo ut patria resurgat.

Una sfumata galassia di sincretismo etico-politico che si pose quale spontanea antagonista al materialismo marxista ed al conservatorismo liberale. Il coraggio, l’amore per la Patria, la disponibilità al sacrificio fisico ed al rischio della vita, il rifiuto dei valori materiali correnti, espressi in quei versi,  non facevano, però,  rima con le aspettative delle ragazze, delle donne, inclini a preferire ad atteggiamenti rivoluzionari, sovversivi della cultura borghese, la immagine “normale”, rassicurante, compendiabile in quella del “bravo giovane” con salario certo, e puntuale nel suo rientro serale a casa.

Ma già in quei decenni lontani, dalle stesse radici sane del vitalismo futurista, nella sua carica disinteressata e di primo impulso, nel suo largo margine di fantasia germogliavano le prime gemme di quei movimenti di avanguardia e di rifiuto dei modelli tradizionali che portarono progressivamente le donne a compiere la loro rivoluzione. Una rivoluzione ideale e concreta a seguito della quale quelle stesse donne “che non volevano più bene” si sono fatte portatrici di messaggi innovativi, o, in alternativa, hanno preso a condividere e appoggiare le istanze e le azioni  di cambiamento degli uomini sino ad allora presso ch’è esclusiva componente propulsiva, nella nostra Italia, del divenire della storia.

Anita Garibaldi che condivise gli ideali e le battaglie di Giuseppe senza smettere di essere donna, moglie, madre, può essere considerata un modello anticipatore di questo nuovo modo di esserci della donna. Non molto tempo fa, ho appreso da un paracadutista un suo peculiare modo di intendere ed usare il termine “socia”. Raccontandomi della sua vita, mi ha parlato del ruolo che, in questa, aveva avuto la sua “socia”. Con  questo termine designava la donna che gli aveva permesso di vivere, condividendone e sostenendone i contenuti, una vita al di fuori degli schemi convenzionali che caratterizzano la quotidianità delle maggioranze. Una  figura  che, senza rinunciare alle  peculiarità proprie della femminilità, aveva saputo coniugare a questa, quelle, meno frequenti, dell’accettazione ragionata e condivisa  di  un programma di vita improntata a valori etici, ormai desueti, spesso contrastanti con le più moderne, disinvolte e comode modalità di approccio morale e materiale alla  realtà di ogni giorno.

Riflettendo su queste considerazioni, mi è venuto spontaneo ricollegarle allo spirito che anima e tiene unita  la nostra comunità. E’ vero il paracadutismo, così come ci è stato tramandato e così come intendiamo conservarlo, non deve essere inteso come una attività esclusivamente motoria, ma soprattutto come adozione di uno modello di vita. Tenere fede a questo modello comporta impegno, spesso sacrifici e talora anche sofferenza. Da soli non si è sempre in grado di  superare gli ostacoli spirituali e materiali di tale cimento, soprattutto se  protratto nel tempo.

Se abbiamo avuto la forza di conservarci, di ritrovarci ancora con le stesse convinzioni che furono dei nostri padri, se il passare degli anni non ci ha guastati e noi siamo oggi quello che loro  furono  ieri vuol dire che abbiamo vinto la battaglia e che l’abbiamo vinta insieme perché siamo stati, siamo e continueremo ad essere una comunità. Comunità di unità “funzionali”, costituite non da singoli ma, ancora una volta, da comunità di pensiero, ideali ed azione. Di questa comunità sono state e sono  parte attiva le nostre Madri e le nostre ”socie”: le nostre donne.

Il 6 dicembre, primo martedì del mese, la nostra comunità, questa grande famiglia, si riunirà per festeggiare Natale, il nostro Natale.

Quale migliore occasione perché tutte le nostre donne, nella ricorrenza della più tradizionale festa della famiglia, partecipino ad un evento associativo non da dietro le quinte ma come protagoniste?  Quale  più propizia opportunità per assaporare con il loro stesso sentire l’atmosfera che regna tra di noi e verificare,  con i propri occhi, i risultati del loro silenzioso operare? Il nostro Natale potrà essere così un modo tutto “paracadutista” di festeggiare le donne e anche ringraziarle  per il prezioso contributo che ci offrono ogni giorno.

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